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Diagnosi-terapeuticità: un’integrazione necessaria per la (ri)costruzione evolutiva
Rodi Maria Novella

Diagnosi-terapeuticità: un’integrazione necessaria per la (ri)costruzione evolutiva

Lavoro come psicoterapeuta in un centro interprofessionale per l’infanzia e l’adolescenza, che segue un modello integrativo con un lavoro di rete terapeutica che coinvolge minori, famiglie, scuole e contesti extrascolastici.

Il primo incontro è richiesto dalla madre di Lia, 9 anni, preoccupata per il ripetersi di attacchi di vomito della figlia. Riferisce anche di difficoltà scolastiche segnalate dalla scuola e mostra due valutazioni per probabile DSA. La modalità di intervento prevede tre incontri con Lia per esplorare e valutare le possibilità funzionali e relazionali. Segue un incontro con i genitori per proporre e condividere il progetto terapeutico di rete. Al primo incontro Lia, minuta e curata nell’abbigliamento, si mostra aperta e desiderosa di dare un’immagine positiva di sé. Riporta spontaneamente che a scuola spesso ha nausea e vomito. Questo la fa star male e mi chiede di essere aiutata. Racconta di fare molti errori in italiano e matematica anche se si impegna. Mostra notevoli risorse: sa ricostruire una narrazione con salienze affettive e significati reali, riconosce e narra esperienze anche con emozioni negative con una buona regolazione affettiva. Viene creato un progetto terapeutico di rete intorno a Lia, con genitori, insegnanti e personale della ludoteca.

Nel mio modello clinico gli incontri terapeutici sono spazi relazionali-esperienziali in cui è validata la fenomenologia dello “scorrere” dei processi affettivi-cognitivi. La costruzione di un ambiente relazionale accogliente e non giudicante è essenziale per la percezione di sicurezza che permette al sistema di potersi esprimere e conoscersi nella gamma delle risorse e dei limiti. La possibilità di esistere, fare errori, imparare da essi ed esplorare alternative, crea esperienze altre rispetto alle sequenze di condizionamenti avversivi. Il mio lavoro è ricerca di risorse e costruzione di condizioni in cui esse possano emergere anche a fronte di condizioni o evidenze cliniche difettuali. Lia ricostruisce, seduta dopo seduta, il suo sistema proattivo di sicurezza tramite l’esperienzialità coerente di sentirsi validata, vista e accettata. La scelta di modalità diverse di narrazione indica la ricchezza dei sistemi care, play e cooperazione a disposizione. I processi diagnostici e terapeutici vanno di pari passo con la proattività dell’esperienzialità relazionale con una dinamica continua fra percezione dei limiti e attivazione alternativa delle risorse. La diagnostica funzionale è un lavoro in progress alternativo all’inquadramento categoriale.

Dopo alcuni mesi i sintomi sono scomparsi. Le difficoltà scolastiche sono ridotte e vissute con minore attivazione di distress. Il lavoro terapeutico è guidato dalla ricerca delle risorse relative ai sistemi funzionali affettivi/cognitivi e non tanto da protocolli e da quadri categoriali. L’attivazione di processi di plasticità evolutiva tramite l’esperienzialità di una connettività regolata promuove l’integrazione dei sistemi relazionali di base con quelli “superiori” e il loro sviluppo. I processi di riparazione e sviluppo procedono con sequenze ritmiche neuropsicobiologiche, da livelli più primitivi a più evoluti. L’esperienza clinica indica che gran parte della sintomatologia è legata ad esperienze precoci di perdita, mancanza, neglect e pericolo/minaccia che attivano modalità funzionali disregolate. Studi recenti indicano che l’andamento evolutivo continuo e coerente delle configurazioni di coscienza è in relazione all’integrazione tra quattro sistemi funzionali resting: Executive, Default Mode Network, Salienza Affettiva e Attenzione/Orientamento.

Questo modello è relativamente originale in quanto integra conoscenze transdisciplinari dei sistemi complessi, delle neuroscienze e della clinica evolutiva. Afferisce all’area dell’integrazione teorica in psicoterapia e opera sulla base di principi scientifici e valoriali. L’evolutività, come dimensione proattiva della terapia, la validazione della complessità del terapeuta più che le sue acculturazioni e la valorizzazione dell’unicità del paziente e del terapeuta stesso sono i processi di vita, utili anche per altri colleghi. La clinica terapeutica può beneficiare dallo sviluppo di modelli di integrazione teorica che operano secondo principi di globalità fra processi di prima, seconda e terza persona e sono orientati al superamento di dualismi storici. Il terapeuta è persona storica con risorse evolutive e limiti ed è una presenza affettiva stabile. Non è un applicatore di tecniche. La terapeuticità per la persona terapeuta e per la persona paziente è funzione della complessità caratterizzata dalla copresenza di sistemi integrativi anche opposti e/e. La difettualità e la patologia corrispondono essenzialmente a configurazioni di sistemi a bassa complessità, mentre l’evolutività sana, la terapeuticità, la formazione terapeutica sono funzioni della crescita di complessità che è alla base dei processi di vita.

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